Preliminarmente è bene ricordare alcuni principi fondamentali dettati dal Testo Unico Ambientale di riferimento (Dlgs 152/06 e smi) e di attuazione delle direttive comunitarie, in particolare della direttiva 2008/98/CE.
(art. 179) La gestione dei rifiuti avviene nel rispetto della seguente gerarchia:
(art. 182-bis) Lo smaltimento dei rifiuti ed il recupero dei rifiuti urbani non differenziati sono attuati con il ricorso ad una rete integrata ed adeguata di impianti, tenendo conto delle migliori tecniche disponibili e del rapporto tra i costi e i benefici complessivi, al fine di:
I principi appena richiamati saranno ancor più vincolanti a seguito del prossimo recepimento, da parte del nostro Paese, del cosiddetto “Pacchetto di Economia Circolare”. L’Unione Europea ha avviato nel 2015 un “Piano d’azione per l’economia circolare” che ha previsto l’adozione di quattro nuove direttive finalizzate alla revisione delle principali norme comunitarie in materia di rifiuti.
I suddetti quattro schemi di direttive sono stati approvati in via definitiva dal Consiglio UE il 22 maggio 2018: le nuove disposizioni comunitarie sull’economia circolare dovranno quindi essere recepite dai singoli Stati dell’Unione europea.
Tutto ciò premesso, è bene precisare che per la corretta gestione dei rifiuti, nel rispetto dei principi fondamentali sopra enunciati e, ancor di più, in linea con la riforma europea per l’economia circolare, non è possibile prescindere dall’esistenza di un numero sufficiente di impianti, dedicati alla gestione dei rifiuti prodotti.
Facendo riferimento alle ultime stime disponibili (Fonte: ISPRA – Rapporto Rifiuti Urbani), in Italia, nel 2018, si è registrata una produzione totale di rifiuti urbani pari a 30.164.516 tonnellate.
Di questa quantità, nello stesso anno, il 58,1% è stato raccolto in forma differenziata ed avviato a recupero. Si tenga comunque presente che non tutta la quantità di rifiuti avviata a recupero può essere effettivamente valorizzata e, dunque, una parte più o meno ampia di essa dovrà comunque essere ricondotta allo smaltimento.
Nella figura seguente si riporta uno schema del “ciclo integrato” per la gestione dei rifiuti urbani prodotti sul territorio.
Risulta assolutamente necessario avviare un sistema integrato, con adeguata prospettiva temporale, per la gestione dei rifiuti, in grado di rispondere alle esigenze ambientali, industriali e di crescita del nostro Paese.
Sviluppando tale percorso si potrebbe garantire una exit strategy dalla crisi economica e un rafforzamento delle nostre imprese produttive, rendendole meno vincolate dalla dipendenza e volubilità delle materie prime, sul mercato europeo ed internazionale.
Servono quindi capacità e specificità impiantistiche per dare concreta attuazione alla Circular Economy.
Peraltro in Italia la distribuzione oggi degli impianti di gestione è assolutamente disomogenea, costringendo alcune aree a movimentare per tratte più o meno lunghe i propri rifiuti.
Stante l’attuale situazione, non è pensabile:
Per rendere effettivo e completo un modello di Economia Circolare è imprescindibile realizzare le condizioni per “chiudere il cerchio” anche per quanto riguarda la gestione di tutti i rifiuti.
La corretta dotazione impiantistica per la gestione dei rifiuti consente non solo di rispondere a questa finalità ma anche di garantire la competitività del settore produttivo, sia l’apporto di materie prime seconde che per la possibilità di gestire a costi sostenibili gli scarti dell’attività produttiva, che nella maggior parte dei casi devono essere esportati con costi significativi e una forte esposizione alle variabilità dei prezzi.
Sebbene la prevenzione, l’efficienza dei processi produttivi, la corretta gestione dei rifiuti privilegiando riuso e recupero siano elementi fondamentali, il meccanismo si blocca se, a valle, non si creano le condizioni per valorizzare gli scarti, opportunamente trattati, nei cicli produttivi, e per smaltire quelli non recuperabili. (Fonte: Fise Assoambiente – Report 2019 – Per una strategia nazionale dei rifiuti)
Qui di seguito una breve descrizione dei singoli comparti impiantistici costituenti il “ciclo integrato” di gestione dei rifiuti urbani.
La “selezione meccanica” si applica al rifiuto indifferenziato per effettuare selezioni di materiali finalizzate ad ulteriori recuperi (in genere metalli) e per separare frazioni combustibili o per preparare combustibili qualificati secondo la normativa vigente.
Lo stesso tipo di processo con le stesse finalità può essere realizzato su rifiuti indifferenziati precedentemente bioessiccati.
In generale il trattamento meccanico è tipico dei processi di produzione di combustibile da rifiuti: essi si ottengono selezionando diverse tipologie di rifiuti ed in particolare separando la frazione non combustibile, ad esempio l’umido putrescibile e gli inerti (pietre, vetro, metalli).
I rifiuti in ingresso al processo di produzione di combustibile da rifiuti possono quindi essere sia rifiuti urbani indifferenziati residui a valle della raccolta differenziata, che rifiuti non pericolosi di origine industriale (scarti di produzione e rifiuti da post-uso industriale). A seconda dell’origine, varia, sia la composizione, che il grado di omogeneità dei flussi e, conseguentemente, la complessità del processo di trattamento. In conseguenza della sua origine e composizione il materiale in ingresso avrà caratteristiche differenti.
Si tenga presente che per preparare un materiale combustibile partendo da rifiuti contenenti una frazione biodegradabile, quali i rifiuti urbani, il trattamento meccanico può svolgersi o a monte o a valle del trattamento biologico, potendo, nel complesso identificare due distinti processi di Trattamento Meccanico Biologico (TMB):
Il trattamento biologico è volto a conseguire la mineralizzazione delle componenti organiche maggiormente degradabili (stabilizzazione) e la igienizzazione per pastorizzazione del prodotto.
Gli scopi dei trattamenti biologici sono quindi:
In Italia ed in Europa si possono identificare due tipologie di trattamento meccanico biologico delle frazioni residue:
Spesso si distingue dal processo di biostabilizzazione, o si associa ad esso, il processo di bioessiccazione. Tale processo ha lo scopo primario di ridurre l’umidità del rifiuto a seguito di una fase di biossidazione della sostanza organica. Questo processo ha due obiettivi fondamentali:
La stabilizzazione del rifiuto avviene tramite la riduzione del contenuto percentuale di umidità fino a valori del 7-15%; in tali condizioni ogni attività biologica è soppressa e non si ha degradazione.
Il bioessiccamento viene raggiunto attraverso due stadi principali:
Il compostaggio consiste nella stabilizzazione biologica in fase solida di scarti, residui e rifiuti organici fermentescibili, in condizioni aerobiche (presenza di ossigeno molecolare) tali da garantire alla matrice in trasformazione il passaggio spontaneo attraverso una fase di autoriscaldamento, dovuto alle reazioni microbiche. Il processo trasforma il substrato di partenza in un prodotto stabile, simile all’humus, chiamato compost. Si tratta, essenzialmente, dello stesso processo di trasformazione che in natura ricorre spesso in diversi contesti con la differenza che, nelle applicazioni tecnologiche, esso viene opportunamente incrementato ed accelerato.
Nell’ambito delle biotecnologie ambientali, sta quindi ad indicare il processo bioossidativo aerobico, esotermico (basato su reazioni che generano calore), promosso dai microorganismi (biomassa attiva) di norma naturalmente associati alle matrici sottoposte al trattamento, in conseguenza del quale il substrato organico eterogeneo di partenza (biomassa substrato) subisce, in tempi ragionevolmente brevi (alcune settimane), profonde trasformazioni nelle caratteristiche fisico-chimiche e biologiche (maturazione), con perdita della putrescibilità (stabilizzazione), parallelamente ad una parziale mineralizzazione e humificazione.
Durante il processo di compostaggio, i microorganismi degradano, in maniera più o meno spinta, il substrato organico di partenza, producendo anidride carbonica, acqua, calore e sostanza organica humificata, vale a dire una matrice finale metastabile, non suscettibile cioè di ulteriori repentine trasformazioni biologiche.
Numerosi sono i metodi di compostaggio applicabili alla stabilizzazione dei rifiuti organici. La scelta del metodo dipende da una serie di fattori, tra i quali, in primo luogo, la tipologia delle matrici organiche da trattare. Ad influenzare l’adozione di un sistema di compostaggio piuttosto che un altro sono però anche la quantità di rifiuto da stabilizzare e la disponibilità di spazio per il trattamento, l’entità dell’investimento stanziato per le strutture impiantistiche, l’incidenza della manodopera sull’operatività del sistema, la dislocazione topografica del sito destinato alla stazione di trattamento ed una molteplicità di considerazioni di carattere ambientale, infrastrutturale e sociale.
Con il termine digestione anaerobica si intende il processo biologico di stabilizzazione (riduzione del contenuto di carbonio o C/N) di un substrato organico putrescibile condotto in uno o più reattori controllati in assenza di ossigeno attraverso idrolisi, metanogenesi e acidogenesi.
Anche la digestione anaerobica è quindi un processo biologico, ma di tipo anaerobico, che applicato alla frazione organica differenziata consente la sua parziale conversione in biogas a elevato contenuto di metano (idoneo al recupero energetico) con produzione poi di residui solidi fangosi.
La degradazione biologica della sostanza organica in condizione di anaerobiosi (in assenza, cioè, di ossigeno molecolare) determina la formazione di diversi prodotti, i più abbondanti dei quali sono due gas: il metano ed il biossido di carbonio.
I processi di digestione anaerobica possono essere suddivisi in due gruppi principali:
Nell’ambito delle precedenti classi, si sono individuati i differenti processi applicati su scala industriale distinguibili in base alla concentrazione di solidi che caratterizza il rifiuto organico trattato:
L’applicazione della digestione anaerobica al trattamento dei rifiuti consente sia di conseguire un notevole recupero energetico, attraverso l’utilizzo del biogas prodotto, sia di produrre, attraverso una post maturazione del digestato, un residuo stabilizzato impiegabile come ammendante organico in agricoltura o per ripristini ambientali.
L’aspetto del recupero energetico è senza dubbio quello più interessante, in quanto il biogas prodotto, costituito per la maggior parte da metano (circa il 50-70%), ha un elevato potere calorifico (4500-5500 kcal/Nm3) e pertanto può essere convenientemente convertito in quasi tutte le forme di energia utili: calore, elettricità e cogenerazione (produzione congiunta di elettricità e calore).
Le applicazioni più frequenti prevedono la sua combustione in motori endotermici, che consente la produzione di energia elettrica e termica in quantità sensibilmente superiore agli autoconsumi dell’impianto, utilizzando apparecchiature dotate di elevata semplicità impiantistica e gestionale.
Recentemente, a causa delle importanti incentivazioni statali disponibili, la tendenza è quella di trasformare il biogas in biometano (upgrading) per poi utilizzarlo per autotrazione, direttamente o dopo immissione in rete.
É evidente, quindi, che l’efficienza dei sistemi di digestione anaerobica deve mirare a massimizzare la produzione di biogas ed il suo utilizzo per produrre energia.
In ogni caso, pur avendo assistito, finora, allo sviluppo di sistemi integrati di trattamento anaerobico/aerobico, dove la fase aerobica coincide con un processo vero e proprio di compostaggio, finalizzato alla produzione di ammendante organico naturale a base di compost, tuttavia, il completamento dell’intero ciclo di trattamento della frazione organica non deve necessariamente trovare soluzione nel suddetto processo di compostaggio.
Le operazioni di finissaggio del digestato disidratato, infatti, trovano sempre più spazio con l’obiettivo finale di produrre un materiale che abbia caratteristiche tali da consentirne il suo successivo utilizzo in agricoltura.
Alla raccolta differenziata dei materiali secchi fanno seguito trattamenti delle frazioni preselezionate che sono indispensabili per l’accettazione da parte delle industrie di recupero, come vetrerie, cartiere, utilizzatori di plastica recuperata, produttori di truciolato, fonderie di ferro e altri metalli.
L’interfaccia fra raccolta differenziata e riciclo è costituita da piattaforme in cui si eseguono operazioni diverse, sia per separare frazioni merceologiche omogenee, raccolte congiuntamente nella raccolta multimateriale, sia per migliorare la qualità del materiale raccolto, sia per selezionare all’interno della stessa frazione, qualità diverse da avviare a differenti tipologie di impianti produttivi.
Anche se in molti di questi impianti si assiste ancora all’utilizzo generalizzato della selezione manuale, si va affermando la tendenza di limitare tale forma di selezione alle sole operazioni che non si possono meccanizzare e ad operazioni di “controllo qualità”, cioè di rifinitura, laddove le macchine non hanno un rendimento di separazione del 100%.
La selezione meccanica (o manuale) si applica alle frazioni separate provenienti dalla raccolta differenziata con diverse finalità:
Con il termine “incenerimento”, viene identificato un processo di ossidazione di sostanze organiche (del tutto simile a quello che avviene nella combustione di combustibili fossili per la produzione di energia), il cui scopo principale è quello di convertire i rifiuti in composti gassosi (acqua, anidride carbonica) ed in residui solidi praticamente inerti (ceneri).
Esso è dunque una tecnica di smaltimento di rifiuti finalizzata alla distruzione della frazione organica, con conseguenti notevoli riduzioni in massa e volume. In particolare, per i Rifiuti Urbani e per alcune tipologie di Rifiuti Speciali, l’incenerimento ha come funzione principale la drastica riduzione del volume, di norma combinata con il recupero energetico (sotto forma di energia elettrica e/o termica).
Occorre rilevare che il termine incenerimento viene di norma identificato con la combustione diretta dei rifiuti anche se in tale accezione sono inclusi anche altri procedimenti di trattamento termico, quali ad esempio la pirolisi, la gassificazione ed il processo al plasma.
In realtà, sotto l’aspetto tecnico, la pirolisi e la gassificazione (ed anche i trattamenti all’arco-plasma che possono essere ricondotti ad una combinazione dei due processi) possono differire sostanzialmente dall’incenerimento, sia per quanto riguarda le condizioni operative e le modalità di recupero energetico sui prodotti intermedi da essi derivabili, sia per quanto riguarda il differente grado di maturità commerciale delle tecnologie che si basano su tali processi.
Un impianto di incenerimento prevede la presenza di varie sezioni tra loro interconnesse che nel loro insieme costituiscono il sistema di trattamento termico dei rifiuti:
L’impatto derivante dalla combustione di rifiuti è costituito principalmente dall’emissione di polveri e di sostanze inquinanti in fase gassosa o sotto forma di vapore. In via generale, le polveri sono rimosse per via meccanica e gli inquinanti per via chimica, tuttavia, lo sviluppo tecnologico attuato dalle aziende del settore negli ultimi anni ha condotto allo sviluppo di un mercato di sistemi di depurazione dei fumi piuttosto complessi che, nel caso di molti inquinanti, consentono di raggiungere valori di concentrazione delle emissioni al limite della misurabilità.
Si intende per “discarica” l’area adibita allo smaltimento dei rifiuti mediante operazioni di deposito sul suolo o nel suolo, compresa la zona interna al luogo di produzione dei rifiuti adibita allo smaltimento dei medesimi da parte del produttore degli stessi. Sono esclusi da tale definizione gli impianti in cui i rifiuti sono scaricati al fine di essere preparati per il successivo trasporto in un impianto di recupero, trattamento o smaltimento, e lo stoccaggio di rifiuti in attesa di recupero o trattamento per un periodo inferiore a tre anni come norma generale, o lo stoccaggio di rifiuti in attesa di smaltimento per un periodo inferiore ad un anno.
Nella realizzazione di una discarica per rifiuti non pericolosi autorizzati devono adottarsi i necessari requisiti tecnici per salvaguardare le matrici ambientali interessate (acqua, aria, suolo e sottosuolo), che sinteticamente si possono ricondurre ai seguenti elementi:
Inoltre, sempre al fine di salvaguardare le matrici ambientali interessate, le prestazioni da attuare durante la fase di esercizio della discarica riguardano:
Al termine delle operazioni di esercizio della discarica e della relativa chiusura e sistemazione finale, è prevista una gestione post-chiusura, durante la quale è necessario effettuare interventi periodici di controllo, manutenzione, analisi, disinfestazioni, derattizzazioni, gestione del percolato e del gas di discarica, al fine di mantenere inalterata nel tempo la sicurezza dell’impianto.